L’inferno dell’Etna

Per secoli, millenni, le storie dell’uomo sono state strettamente intrecciate alle vicende naturali del pianeta, ai suoi cicli stagionali, finanche alle catastrofi che ancora oggi sconvolgono certe aree geografiche della nostra Terra. In parte lo sono ancora oggi. In Sicilia la presenza dell’Etna, il vulcano attivo più alto d’Europa, ha contribuito a plasmare e forgiare gli spiriti e gli animi dei suoi abitanti che hanno imparato a convivere con esso ma che nulla hanno potuto contro la sua forza distruttrice (e rigeneratrice). Le attività umane, dall’edilizia all’agricoltura, vanno di pari passo con la sua attività, si adattano alle sue “esigenze” e talvolta ai suoi “capricci”.

La sua immensa forza naturale, spettacolare ma terribile allo stesso tempo, ha contribuito alla nascita di una moltitudine di leggende e storie che sono arrivate fino ai nostri giorni. Gli antichi greci credevano che fosse l’officina del dio Efesto, che con i suoi aiutanti, i Ciclopi, forgiava mitiche armature da guerra. Il medioevo cristiano ha collocato la porta d’ingresso dell’inferno, il regno eterno dei dannati, proprio alle pendici del vulcano ed è facile immaginare perché: la Sicilia è stata definita da alcuni un “inferno”, certamente un modo di dire ma che offre anche molti spunti di riflessioni, esso non richiama solo i mali che affliggono questa terra, ma si rifà anche ad antiche credenze che tendono a sopravvivere ancora oggi. Nessuno crede più che l’Etna sia la porta d’ingresso dell’inferno ma certo la cosa in passato, ha scatenato la fantasia dei suoi abitanti, facili prede di superstizioni, e di viaggiatori che si sono trovati a soggiornare in Sicilia.

Ad ogni eruzione che minacciava un centro abitato, si usava, e si usa ancora oggi, portare in processione in prossimità del fronte lavico, la statua del santo protettore del paese (l’ultima eruzione che stava seriamente minacciando un centro abitato avvenne nel 1992, a Zafferana Etnea, in quell’occasione fu portata in processione la statua della Madonna). Ma la Sicilia oltre ad essere la terra che ospita l’Etna, è anche un’isola. Nel medioevo, l’acqua era fonte di purificazione e questo fece sì che la Trinacria fosse la candidata ideale ad ospitare anche la porta d’ingresso del purgatorio; ma la presenza ingombrante dell’Etna ha completamente adombrato questa possibilità: il purgatorio fu istituito durante il Concilio di Lione, nel 1274. Questo ristabiliva un legame tra i vivi e i morti, mediato dalla Chiesa che assumeva un controllo duraturo non solo sulla Terra ma anche nell’aldilà. Anche questo ha contribuito ad alimentare storie e leggende: nel 1210, Gervasio di Tilbury, nell’opera “Otia imperalia” narra del palafreniere del vescovo di Catania che, andato alla ricerca del cavallo perduto del suo padrone, si imbatté sull’Etna, a causa di un incantesimo, nel palazzo di re Artù. Secondo il racconto, il sovrano aveva una ferita che si stava rimarginando, a simboleggiare il peccato da cui si sta purificando. Anche l’Irlanda era candidata per ospitare il purgatorio e alla fine ebbe al meglio. Il purgatorio siciliano si confuse totalmente con l’inferno: basti pensare che papa Gregorio Magno pensava fosse reale la leggenda secondo cui Teodorico, re dei Goti, alla sua morte fu gettato nel cratere dell’isola di Vulcano. Oltretutto quello era il periodo del governo di Federico II di Svevia sull’isola, sovrano inviso al papa (Dante stesso lo colloca all’Inferno). Insomma, tutti questi elementi fecero si che la Val Demone continuasse a rimanere il luogo naturale dal quale ebbe origine l’inferno. Un inferno che nel corso dei secoli, dunque, ha forgiato il carattere degli uomini che popolano le sue pendici; ogni eruzione porta con sé un’emozione unica, quando vi si assiste, quando scaturisce dai crateri sommitali, tutto ciò che bisogna fare è semplicemente lasciarsi trasportare da questo straordinario fenomeno naturale. Esattamente ciò che fece Charles Didier, poeta e viaggiatore francese di origini svizzere: si trovò in Sicilia tra il 1829 e il 1830. Vedendo l’Etna in eruzione ne fu letteralmente estasiato, “Lo spettacolo era sublime ma muto, l’occhio soltanto era invitato alla festa della natura…”

La storia del vulcano come porta dell’inferno, certamente è un po’ una forzatura ma dobbiamo cercare di immedesimarci in un contesto storico dove la paura e la superstizione impregnavano l’animo di un popolo che non aveva alcuna istruzione e dove l’accesso alla cultura era esclusivo del clero e dei nobili. Chiunque si trovi, oggi, ad assistere alla magnificenza delle eruzioni, potrà certamente comprendere appieno lo stupore, la meraviglia e la paura degli abitanti del periodo medievale.

Un libro interessante che vi consiglio è “Etna ,mito d’Europa”, la prima edizione è del 1997, patrocinato dalla provincia regionale di Catania e un altro consiglio che mi sento di darvi è un viaggio alle pendici del mitico vulcano!

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