
In fuga dalla guerra e dal mondo
Il cinema italiano, nel corso della sua lunga e brillante vita, ci ha reso omaggio di numerose pellicole di cui tanti non sono a conoscenza. Alcuni film sembrano ormai caduti nell’oblio della memoria di molti e sembra doveroso andare a ricercarli, per far sì che possano rivedere nuovamente lustro. Uno in particolare, cui sono molto affezionato, dato che mi ha accompagnato sin dall’infanzia. Sto parlando di “Mediterraneo”, capolavoro indiscusso del regista Gabriele Salvatores, girato nell’isola greca di Kastellorizo (Megisti) e che gli valse l’Oscar come miglior film straniero nel 1992. Tra gli attori più celebri che vi parteciparono, spicca Diego Abatantuono, che grazie proprio a Salvatores, eleva la sua carriera a qualcosa di più di un semplice film demenziale stile anni 80. L’opera fa parte della “Trilogia della fuga”, insieme ad altre due pellicole: Marrakech Express del 1989 e Puerto Escondido del 1992. Perché si parla di fuga? È l’evasione illusoria da una società totalmente consumistica, una società assoggettata ad un potere, in questo caso quello fascista, che pone l’essere umano di fronte ad una scelta: scappare per cercare una vita migliore altrove o rassegnarsi a vivere in una società prigioniera di sé stessa.
Il film comincia con lo sbarco di un gruppetto di soldati italiani sulla piccola isola di Megisti, nell’Egeo, la più piccola e la più lontana, la cui importanza strategica è pari allo zero. La missione di questi soldati è di avvistare eventuali navi nemiche ma ciò che si evince già dall’inizio è come le truppe militari della penisola venissero spesso impiegate come pedine di una scacchiera in improbabili e inutili spedizioni che a nulla portavano. La tragica conclusione del secondo conflitto mondiale, lasciò sul campo milioni di morti e molti dispersi di cui non si seppe più nulla. Tornando al film, i soldati sbarcano sull’isola ma la trovano deserta e decidono di porre la loro base su un piccolo casolare; comunicano alla nave militare su cui erano a bordo poco prima che non vi è stato alcun contatto col nemico e attendono così nuovi ordini ma la nave sta per partire in missione e comincia un lungo silenzio radio. Sta per giungere la notte, la prima sull’isola.

I soldati chiacchierano tra di loro, parlando di cosa facevano prima della guerra, sperando di poter far ritorno presto a casa. Tra di loro vi sono un insegnante, un disertore, un alpino molto affezionato alla sua mula e altri reclutati da battaglie sperdute. Una cosa che mi ha sempre colpito del film sono le espressioni facciali, quelle che si domandano il perché di quella guerra e cosa ci facciano lì, a presidio di una minuscola isoletta senza importanza. La prima svolta si ha con l’avvistamento di alcuni bagliori all’orizzonte: la nave militare italiana si sta scontrando con una flotta inglese e viene affondata; i soldati cercano di mettersi in contatto radio con chiunque riesca a sentirli, ma una voce straniera risponde dall’altra parte e temendo un’invasione dell’isola si mettono in allerta. Durante la guardia però la mula del soldato alpino è scambiata per un nemico ed è erroneamente uccisa, mandando su tutte le furie il soldato che si sfoga sfasciando la radio e isolando di fatto tutta la truppa. Di colpo, è come se la guerra fosse svanita: isolati e senza alcun contatto col mondo esterno, gli uomini tornano alle attività che svolgevano prima: l’insegnante disegna paesaggi, consigliando un libro di poesie ad un suo commilitone, altri si dedicano alla pesca e così via. Improvvisamente appaiono alcuni bambini; si scopre così che in realtà l’isola è abitata ma solo da donne, vecchi e bambini e un prete ortodosso, gli uomini sono stati deportati dai tedeschi nei campi di concentramento. La vita dei soldati con la popolazione locale è allegra e perfetta ma accade un fatto: sull’isola sbarca un turco, che si rivelerà poi un ladro, al quale i soldati chiedono cosa stia accadendo nel mondo circostante dato che è da tempo che non hanno più notizie della guerra ma l’uomo sembra non sapere niente e l’indomani scappa rubando tutti i fucili. Passa altro tempo e un altro arrivo irrompe sulla quiete dell’isola: questa volta è un soldato italiano, un pilota, che aggiorna gli uomini sulle novità belliche comunicando loro che il fascismo è caduto e che l’Italia ha firmato l’armistizio con gli anglo-americani. Prima di ripartire promette loro di comunicare al comando italiano la loro posizione in modo tale da poterli rimpatriare. E il rimpatrio effettivamente avviene, con una motobarca inglese che recupera i soldati ma molti di loro non sono felici di tornare.

La pace e la serenità dell’isola hanno dato loro una nuova vita, una vita che con gli anni non sono poi riusciti ad avere in un’Italia che ha deluso le aspettative di chi fiducioso nella ricostruzione voleva un paese più giusto ed equo. L’utopia, quindi, che ancora una volta scappa, lasciando sul campo ideali e uomini rassegnati. Per questo nel film, la scena finale si concentra sul tenente e sul sergente che ritornano sull’isola che, almeno per qualche tempo, ha dato loro l’illusione di una libertà lontana dall’ipocrisia del mondo in guerra. Il film è una lezione su cosa sia veramente la Libertà, il desiderio di essa che fanno sì che anche nei momenti più bui, ciascuno di noi possa trovare la propria luce interiore e vivere appieno la vita.