“Abbiamo perciò disposto che, nell’amenissima città di Napoli, si insegnino le arti e si coltivino gli studi di ogni professione, affinché i digiuni e affamati di dottrina trovino dentro il regno stesso di che soddisfare le loro brame, e non siano costretti, per procurare d’istruirsi, a imprendere lunghi viaggi, e mendicare in terre straniere. Sotto pena delle persone e delle cose che nessuno osi uscire dal Regno per motivi di studio né che entro i confini del Regno osi apprendere o insegnare altrove”
La recente notizia della scomparsa di Gianluca Vialli, ha lasciato un vuoto enorme tra i tanti appassionati di Calcio, quello con la c maiuscola. Diciamoci la verità, il calcio al giorno d’oggi è solamente, almeno secondo me, un mero gossip: si parla più della super auto dei calciatori che non delle loro performance sportive, degli scandali in cui sono coinvolti ecc. Per uno come me che ha avuto il privilegio di vedere l’Italia campione del mondo nel 2006, e che ha visto giocare atleti del calibro di Baggio, Del Piero, Maldini e compagnia bella, la dipartita di Vialli è stata una botta incredibile. Gianluca, però, oltre ad essere stato un grande atleta è stato, anche se per un’occasione soltanto, autore di una simpaticissima storia scritta per il settimanale Disney, Topolino.
Per secoli, millenni, le storie dell’uomo sono state strettamente intrecciate alle vicende naturali del pianeta, ai suoi cicli stagionali, finanche alle catastrofi che ancora oggi sconvolgono certe aree geografiche della nostra Terra. In parte lo sono ancora oggi. In Sicilia la presenza dell’Etna, il vulcano attivo più alto d’Europa, ha contribuito a plasmare e forgiare gli spiriti e gli animi dei suoi abitanti che hanno imparato a convivere con esso ma che nulla hanno potuto contro la sua forza distruttrice (e rigeneratrice). Le attività umane, dall’edilizia all’agricoltura, vanno di pari passo con la sua attività, si adattano alle sue “esigenze” e talvolta ai suoi “capricci”.
Si è soliti definire il medioevo come un’epoca oscura, un’epoca nella quale la ragione umana sembrò essersi smarrita e dove le guerre fossero l’unica occupazione degli uomini che lo vissero. Diciamo che questo pregiudizio, vuoi per ignoranza, vuoi per sentito dire, è ancora oggi duro a morire; eppure se pensiamo al ‘900, non è che il genere umano se la sia passata granché bene, almeno per una parte di esso (due guerre mondiali, due bombe atomiche, l’olocausto). Ogni parte della storia ha sempre avuto i suoi pro e i suoi contro, ma se ci pensiamo bene è proprio nel periodo medievale che nasce e si sviluppa la nostra letteratura italiana, fioriscono le università, l’Imperatore Federico II di Svevia dà vita all’università di Napoli e alla Scuola Poetica Siciliana (Dante stesso considerava la lingua siciliana superiore al fiorentino). Molte invenzioni, come gli occhiali, prendono vita in questo importante periodo storico. Le stesse cattedrali gotiche sono un trionfo di luce di colori. Gli stessi colori che arricchiscono il fumetto che vado a presentarvi…
“Non fatevi ingannare dalle apparenze. Sotto un abito povero può nascondersi un cuore ricco.”
Esiste una terra in nord Europa, sferzata dal vento, tra scogliere a picco sul mare e dolci brughiere coperte di erica, dove da secoli si tramandano fiabe e leggende antiche. Quella terra è la Scozia, la terra delle cornamuse, del Piccolo popolo e di William Wallace.
Spero che la saga di cui ormai vi parlo da un paio di articoli, vi stia piacendo. Certo, la lettura dei libri in pima persona è tutta un’altra cosa ma come vi ho già detto, questi volumi sono molto difficili da trovare. In questo modo voglio rendervi partecipi di questa magnifica avventura…
Andiamo a vedere il terzo diario della saga di Ulysses Moore.
Il caldo soffocante è ormai giunto e cosa c’è di meglio di un buon libro ambientato nel “fresco” Egitto? Nell’articolo precedente (vi allego qui il link: https://raccontiribelli.wordpress.com/2022/05/12/una-localita-misteriosa/ ), ci eravamo lasciati con i fratelli Covenant e Rick, in procinto di raggiungere la magnifica terra dei faraoni.
La storia contenuta nel libro che sto per raccontarvi, ha veramente dell’incredibile: per la fervida immaginazione del suo autore, Pierdomenico Baccalario, per l’enorme fantasia dimostrata e per l’originalità che accompagna ogni sua singola pagina. La mia vuole essere una presentazione e descrizione di questa avventura che mi ha letteralmente rapito, vuole essere un invito a procurarvi questi libri per vivere un grande viaggio! Il tutto ha inizio con una nota (una e-mail in realtà), proprio di Baccalario: la casa editrice con cui lavora, Il Battello a Vapore, lo manda alla ricerca di un manoscritto di cui in redazione si è tanto parlato. L’autore parte alla volta della Cornovaglia, in Inghilterra. La località che deve raggiungere si chiama Kilmore Cove, ma sulla cartina questa non è segnata, né indicata. Un bel mistero. Decide quindi di fermarsi in un altro paesino, Zennor. Baccalario ha con sé un contatto telefonico che la casa editrice stessa gli ha fornito: risponde una voce femminile molto delicata e gentile la quale gli domanda in quale hotel alloggi l’autore. L’indomani mattina alla reception, riceve un baule. Dentro vi sono una montagna di fotografie, disegni, cartine e numerosi quaderni, tutti consumati dal tempo e scritti in una calligrafia minuta e precisa ma in un linguaggio totalmente incomprensibile. Il baule è stato inviato da un certo Ulysses Moore che gradirebbe che il tutto sia pubblicato. A questo punto, il nostro scrittore si cimenta nella traduzione del primo manoscritto…
Esiste un’opera poco conosciuta del famoso autore de Il signore degli anelli: l’ho scoperta casualmente girovagando in una libreria qualche anno fa e confesso di essere rimasto piacevolmente sorpreso e una volta tornato a casa ho letto il libro tutto d’un fiato. È un racconto diverso dagli altri, almeno da quelli più conosciuti: nell’introduzione il figlio primogenito di Tolkien racconta che la prima versione della storia fu narrata dal padre in occasione di un picnic che la famiglia fece nelle campagne inglesi quando, sorpresi da un temporale, dovettero trovare riparo sotto un ponticello di pietra. Lo spunto portò a una prima stesura del racconto in ventisei pagine che il filologo mise poi da parte per poi dedicarsi alla scrittura dello Hobbit, pubblicato nel settembre del 1937. Il successo, come sappiamo, fu enorme e questo spinse gli editori a chiedere al professore di scrivere la continuazione di questo libro, cosa che avvenne con la trilogia dell’anello, sperando che potesse essere pronto già per il natale dello stesso anno. Ma le cose andarono diversamente: i tempi si allungarono a dismisura e il romanzo vide la luce solo tra il 1954 e il 1955. Per non lasciare tutto in aria Tolkien propose, in alternativa, la pubblicazione dell’avventura del fattore Giles, poiché era già pronto per la pubblicazione. Il racconto, come si legge da una lettera presente nell’introduzione del libro, fu ampliato di un buon 50% e quindi poté essere dato tranquillamente alle stampe. Ora occorre fare una premessa: il racconto che noi oggi leggiamo è diverso dalla prima stesura manoscritta che in origine era molto più breve, ma intuendone il potenziale, il professore di Oxford lo ampliò e lo rese adatto ad una lettura da parte di un pubblico più maturo. Fu pubblicato nel 1949.
Le antiche avventure di un re vichingo giunto dalle lontane e fredde terre della Scandinavia per sconvolgere l’Europa, un’oscura profezia e strani esseri fantastici. Tutto raccolto in una saga che ha fatto storia. Una saga d’armi e d’amori che ha ispirato la serie televisiva “Vikings”.
Esistono numerose leggende attorno alla figura di Re Artù, mitico sovrano dei Britanni, vissuto tra la fine del V e l’inizio del VI secolo d.c. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, le popolazioni barbariche si riversarono sulle sue gloriose rovine; la Britannia fu abbandonata dai romani molto tempo prima e lasciata in balìa di sé stessa. Fu in questo quadro storico che cominciò a forgiarsi la figura di Artorius (Artù), re-condottiero, che guidò il suo popolo contro l’avanzata dei sassoni e degli angli: il primo autore che ne fece menzione nelle sue opere fu Nennio, monaco gallese vissuto nell’VIII sec. d.c., cui attribuì importanti vittorie militari; l’inglese Goffredo di Monmouth (considerato da molti studiosi il vero creatore della leggenda di re Artù) nella sua opera “Historia Regum Brittaniae”, ripercorse le gesta dei re britanni.
Thomas Malory, autore della “Storia di re Artù e dei suoi cavalieri”, propose le vicende del mitico sovrano e della sua cerchia di cavalieri fedeli e delle loro numerose avventure e peripezie in giro per l’Inghilterra; ad ogni modo dobbiamo tener presente una cosa molto importante e cioè il momento storico in cui questo mitico personaggio nasce: siamo ormai all’inizio della Età di Mezzo (Medioevo), il mondo allora conosciuto mutò profondamente e in balìa di popolazioni giunte da lontano, conobbe la nascita di regni che si succederanno senza sosta per secoli. La letteratura comincerà a popolarsi di cavalieri leggendari in lotta contro oscure forze maligne e le antiche religioni “pagane” si mescoleranno alla ormai affermata nuova religione cristiana, fino ad essersene completamene assimilate. Tale miscuglio di popoli e usanze ed eventi che diedero vita ad una folta produzione letteraria che ispirarono scrittori e, ai nostri giorni, anche registi cinematografici.
“Il ragazzo che fece a gara col gigante a chi mangiava di più”
Ben ritrovati cari lettori ribelli. In questo nuovo articolo vi proporrò una fiaba svedese che ho tratto dal libro “Fiabe Svedesi”, pubblicato dalla casa editrice Iperborea. Il mondo delle fiabe mi ha sempre affascinato, con le sue creature fantastiche e le sue foreste incantate piene di draghi, troll, orchi, elfi; il legame di questa tradizione fiabesca con la natura è importante e singolare: ci fa capire come essa ci viene in aiuto nei momenti di maggior pericolo e come può offrirci riparo e asilo nei momenti di sconforto (anche la mitologia greca è fortemente connessa alla natura). La Scandinavia è una terra affascinate, con le sue foreste di abeti e i fiordi e i laghi. Non stupisce quindi che la sua tradizione e il suo folklore se ne sia servita per condire con grande fantasia le sue storie; quella che riporterò ha come protagonista un ragazzo, un giovane pastorello che si ritroverà ad affrontare uno stupido gigante di caverna e che ci dimostra come la vera forza non risieda nei muscoli quanto nel cervello di ciascuno di noi; in effetti, la fiaba ricorda molto l’avventura capitata ad Ulisse quando si ritrova nella caverna del ciclope Polifemo e come avrete modo di vedere, il gigante si rivela un vero e proprio zuccone, quasi ci provi gusto a fare lo stupido, per la serie “ma c’è o ci fa”?…Buona lettura!