“É forse più nobile soffire , nell’intimo del proprio spirito, o imbracciar l’armi, invece, contro il mare delle afflizioni, e, combattendo contro di esse, metter loro una fine?”
Il cinema italiano, nel corso della sua lunga e brillante vita, ci ha reso omaggio di numerose pellicole di cui tanti non sono a conoscenza. Alcuni film sembrano ormai caduti nell’oblio della memoria di molti e sembra doveroso andare a ricercarli, per far sì che possano rivedere nuovamente lustro. Uno in particolare, cui sono molto affezionato, dato che mi ha accompagnato sin dall’infanzia. Sto parlando di “Mediterraneo”, capolavoro indiscusso del regista Gabriele Salvatores, girato nell’isola greca di Kastellorizo (Megisti) e che gli valse l’Oscar come miglior film straniero nel 1992. Tra gli attori più celebri che vi parteciparono, spicca Diego Abatantuono, che grazie proprio a Salvatores, eleva la sua carriera a qualcosa di più di un semplice film demenziale stile anni 80. L’opera fa parte della “Trilogia della fuga”, insieme ad altre due pellicole: Marrakech Express del 1989 e Puerto Escondido del 1992. Perché si parla di fuga? È l’evasione illusoria da una società totalmente consumistica, una società assoggettata ad un potere, in questo caso quello fascista, che pone l’essere umano di fronte ad una scelta: scappare per cercare una vita migliore altrove o rassegnarsi a vivere in una società prigioniera di sé stessa.
Esistono numerose leggende attorno alla figura di Re Artù, mitico sovrano dei Britanni, vissuto tra la fine del V e l’inizio del VI secolo d.c. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, le popolazioni barbariche si riversarono sulle sue gloriose rovine; la Britannia fu abbandonata dai romani molto tempo prima e lasciata in balìa di sé stessa. Fu in questo quadro storico che cominciò a forgiarsi la figura di Artorius (Artù), re-condottiero, che guidò il suo popolo contro l’avanzata dei sassoni e degli angli: il primo autore che ne fece menzione nelle sue opere fu Nennio, monaco gallese vissuto nell’VIII sec. d.c., cui attribuì importanti vittorie militari; l’inglese Goffredo di Monmouth (considerato da molti studiosi il vero creatore della leggenda di re Artù) nella sua opera “Historia Regum Brittaniae”, ripercorse le gesta dei re britanni.
Thomas Malory, autore della “Storia di re Artù e dei suoi cavalieri”, propose le vicende del mitico sovrano e della sua cerchia di cavalieri fedeli e delle loro numerose avventure e peripezie in giro per l’Inghilterra; ad ogni modo dobbiamo tener presente una cosa molto importante e cioè il momento storico in cui questo mitico personaggio nasce: siamo ormai all’inizio della Età di Mezzo (Medioevo), il mondo allora conosciuto mutò profondamente e in balìa di popolazioni giunte da lontano, conobbe la nascita di regni che si succederanno senza sosta per secoli. La letteratura comincerà a popolarsi di cavalieri leggendari in lotta contro oscure forze maligne e le antiche religioni “pagane” si mescoleranno alla ormai affermata nuova religione cristiana, fino ad essersene completamene assimilate. Tale miscuglio di popoli e usanze ed eventi che diedero vita ad una folta produzione letteraria che ispirarono scrittori e, ai nostri giorni, anche registi cinematografici.