Per secoli, millenni, le storie dell’uomo sono state strettamente intrecciate alle vicende naturali del pianeta, ai suoi cicli stagionali, finanche alle catastrofi che ancora oggi sconvolgono certe aree geografiche della nostra Terra. In parte lo sono ancora oggi. In Sicilia la presenza dell’Etna, il vulcano attivo più alto d’Europa, ha contribuito a plasmare e forgiare gli spiriti e gli animi dei suoi abitanti che hanno imparato a convivere con esso ma che nulla hanno potuto contro la sua forza distruttrice (e rigeneratrice). Le attività umane, dall’edilizia all’agricoltura, vanno di pari passo con la sua attività, si adattano alle sue “esigenze” e talvolta ai suoi “capricci”.
La storia contenuta nel libro che sto per raccontarvi, ha veramente dell’incredibile: per la fervida immaginazione del suo autore, Pierdomenico Baccalario, per l’enorme fantasia dimostrata e per l’originalità che accompagna ogni sua singola pagina. La mia vuole essere una presentazione e descrizione di questa avventura che mi ha letteralmente rapito, vuole essere un invito a procurarvi questi libri per vivere un grande viaggio! Il tutto ha inizio con una nota (una e-mail in realtà), proprio di Baccalario: la casa editrice con cui lavora, Il Battello a Vapore, lo manda alla ricerca di un manoscritto di cui in redazione si è tanto parlato. L’autore parte alla volta della Cornovaglia, in Inghilterra. La località che deve raggiungere si chiama Kilmore Cove, ma sulla cartina questa non è segnata, né indicata. Un bel mistero. Decide quindi di fermarsi in un altro paesino, Zennor. Baccalario ha con sé un contatto telefonico che la casa editrice stessa gli ha fornito: risponde una voce femminile molto delicata e gentile la quale gli domanda in quale hotel alloggi l’autore. L’indomani mattina alla reception, riceve un baule. Dentro vi sono una montagna di fotografie, disegni, cartine e numerosi quaderni, tutti consumati dal tempo e scritti in una calligrafia minuta e precisa ma in un linguaggio totalmente incomprensibile. Il baule è stato inviato da un certo Ulysses Moore che gradirebbe che il tutto sia pubblicato. A questo punto, il nostro scrittore si cimenta nella traduzione del primo manoscritto…
Esiste un’opera poco conosciuta del famoso autore de Il signore degli anelli: l’ho scoperta casualmente girovagando in una libreria qualche anno fa e confesso di essere rimasto piacevolmente sorpreso e una volta tornato a casa ho letto il libro tutto d’un fiato. È un racconto diverso dagli altri, almeno da quelli più conosciuti: nell’introduzione il figlio primogenito di Tolkien racconta che la prima versione della storia fu narrata dal padre in occasione di un picnic che la famiglia fece nelle campagne inglesi quando, sorpresi da un temporale, dovettero trovare riparo sotto un ponticello di pietra. Lo spunto portò a una prima stesura del racconto in ventisei pagine che il filologo mise poi da parte per poi dedicarsi alla scrittura dello Hobbit, pubblicato nel settembre del 1937. Il successo, come sappiamo, fu enorme e questo spinse gli editori a chiedere al professore di scrivere la continuazione di questo libro, cosa che avvenne con la trilogia dell’anello, sperando che potesse essere pronto già per il natale dello stesso anno. Ma le cose andarono diversamente: i tempi si allungarono a dismisura e il romanzo vide la luce solo tra il 1954 e il 1955. Per non lasciare tutto in aria Tolkien propose, in alternativa, la pubblicazione dell’avventura del fattore Giles, poiché era già pronto per la pubblicazione. Il racconto, come si legge da una lettera presente nell’introduzione del libro, fu ampliato di un buon 50% e quindi poté essere dato tranquillamente alle stampe. Ora occorre fare una premessa: il racconto che noi oggi leggiamo è diverso dalla prima stesura manoscritta che in origine era molto più breve, ma intuendone il potenziale, il professore di Oxford lo ampliò e lo rese adatto ad una lettura da parte di un pubblico più maturo. Fu pubblicato nel 1949.